Corso 2008/2009
LA DIFESA E L’ERRORE DEL PENSIERO COMPETENTE
A proposito di Tolkien, io apprezzo i lapsus reiterati, perché in fondo, a ben pensarci, chi è Mordor, il cattivo? Provate a pensare semplicemente a quei vostri sogni che avete ancora il vizio di chiamare incubi o sogni che angosciano. Non esistono i sogni di angoscia; è la coscienza incapace di recepire il pensiero stesso del soggetto che lo accoglie male e lui butta su schizzi di fango.
Chi è Mordor? È il risultato di uno schizzo di fango sul proprio pensiero. Non è malvagio.
Questo scrittore – in subordine storico, ma è veramente uno scrittore – parla di noi, uno per uno e vale la spesa di leggerlo per questo. Ancora prima che dell’America di oggi, dell’americanizzazione del mondo, di Obama – per me un po’ aggiornato, questo libro potrebbe essere uscito fresco, dato alle stampe, l’altro ieri, o nel corso della campagna elettorale americana – questo libro è lì, e lo dice, è al primo posto a parlare di noi. In queste più che settecento pagine – divise in tre libri, ognuno in molti capitoli; il terzo libro composto di molti capitoli a loro volta raggruppati in quattro parti documentatissime e articolatissime ecc. – questo libro è perfettamente descrivibile con una freccia: il senso, e il senso è quello di arrivare al dispotismo, al nuovo dispotismo di un tutore.
Quel dispotismo lo qualifico subito – non parla d’altro che di questo in questo dispotismo –: il dispotismo consistente nell’assenza di un amico del pensiero. Appunto è l’autore stesso a dire quella frase – io ho già scritto quello che ho da dire nel blog, mi pare, di ieri, Tocqueville o il sogno americano. Quel blog designa bene quello che sto dicendo.
Perché questo potere tutoriale addirittura non arriva a togliere interamente a noi la fatica di pensare e la pena di vivere? Pensiero, patologia, e non ci arriva. Dice bene di questo potere: pensiero e patologia con ciò che la precede, lo dico da anni, una teoria. Notevole. Faccio un’annotazione: si può fare proprio un florilegio enorme, anzi, quasi quasi andrebbe fatto. “Notevole – dice – che un governo liberale, energico e saggio, possa uscire dai suffragi di un popolo di servi”. A me batte il cuore quando leggo queste cose, mi ci ritrovo. Ma – altra osservazione brillantissima; lasciamo stare che sia brillante, semplicemente corretta – la natura del padrone mi interessa meno dell’obbedienza, ossia l’obbedienza è quella che mi interessa, non il padrone. Diventa particolarmente interessante anche per quelli che hanno un’opinione favorevole dell’obbedienza. Perché qui, nel concetto comune di obbedienza, di obbedienza non ce n’è neanche un milligrammo: nell’idea comune di obbedienza bisogna che ci sia un padrone al quale obbedisco. Qui non c’è padrone, è l’obbedienza che lo fa, il principio-obbedienza. …
Pronunciato il 13 dicembre 2008
Trascrizione a cura di Sara Giammattei.
Revisione a cura di Glauco Maria Genga
Testo non rivisto dall’Autore