3° – IL PENSIERO COME LAVORO SULL’ENTE

Corso 1996-1997
ISTITUZIONI DEL PENSIERO LAICO: L’ESPERIENZA GIURIDICA

 

 

Se il professor Sini me lo consente, direi che Egli, con il Suo lavoro di questa mattina, è costruttore di ambiti in cui è possibile operare, in questo caso, teoreticamente. Mi alloggio bene in questo spazio.

Introdurrei come necessaria al nostro dibattito la parola “lavoro”. Se la connettiamo strettissimamente con “pensiero” e questo con Freud, possiamo dire che il pensiero – il pensiero non è un ente, ma un lavoro e anche il lavoro non è un ente – è lavoro sull’ente.

A proposito della patologia. Vorrei ricordare che abbiamo definito la psicopatologia in quanto tale come difetto a lavorare, come un meno di lavoro di pensiero: è il concetto di inibizione. Mi spiego molto aforisticamente: nella rivelazione cristiana Dio ha mostrato di amare follemente i Romani, che avevano una caratteristica particolare: se ne infischiavano completamente di Dio. Non a caso S. Paolo trovò la frase: “Al Dio ignoto” sull’Areopago: proprio non l’avrebbe trovata a Roma.

Ora, detto alla svelta, i Romani lavoravano di diritto. Per quale ragione introduco questo? Perché il professor Sini ci ha riproposto il grande tema della struttura metafisica dal quale la nostra cultura non esce. Potremmo chiamare questa struttura dispositivo o, secondo il linguaggio cognitivista, potremmo dire che la metafisica occidentale è un modello della mente. È una delle ragioni per cui sono contro il cognitivismo e non del tutto in pace con la metafisica. A suo tempo tra due vie della metafisica è stata compiuta una scelta, nella quale l’altra via è esistita nell’essere esclusa. La scelta ha riguardato l’ente come pura natura o come materia prima. La materia prima si trova in natura, ma vi si investe un primo lavoro: è il caso, per esempio, del grano tagliato o del carbone estratto. Per la metafisica occidentale l’ente non è la materia prima. Un altro modo per esprimere lo stesso concetto ci è stato fornito da Kelsen, il quale afferma che l’uomo non è imputabile perché libero, ma è libero perché imputabile. Sulla stessa falsariga potremmo dire: l’uomo non è imputabile o predicabile perché è un ente, ma è un ente imputabile in ragione del lavoro che ha investito in qualche direzione.  …

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Pronunciato il 11 gennaio 1997
Trascrizione a cura di Gilda Di Mitri
Testo non rivisto dall’Autore
I testi relativi agli interventi di questo Corso sono stati raccolti nel volume L’ esperienza giuridica, Sic Edizioni


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Data di pubblicazione: 05/06/2016