Seminario 1995/96
“Aldilà. Il corpo”, 2
Il curante è un’intollerante. Si tratta di stabilire qual è l’oggetto dell’intolleranza, perché dire che è intollerante, ma in generale, è come dire che è insoddisfatto in generale. Siamo nella patologia. È intollerante, se è curante, — come condizione dell’essere curante, non come condizione privata per un suo benessere distinto e separato dall’operazione curare — il curante è intollerante se è intollerante dei disturbi che il curando cerca di infliggergli.
Una volta facevo l’esempio che se uno da me lascia cadere la cenere della sigaretta sulla mia moquette, può anche darsi che la prima volta faccia finta di nulla, ma è da mettere alla porta. Questo fa bene alla mia moquette e fa bene al mio curando. Almeno uno come testimonianza in questo caso che asserisce a forza necessaria nella singola circostanza di avere un principio di piacere.
Aggiungerei che mi veniva in mente il Cristo di Kierkegaard, sempre sofferente, e non sofferente nell’orto del Getsemani o sulla croce, ma sofferente in generale, per il solo fatto di essere venuto in questi paraggi. È il Cristo insoddisfatto. A chi interessa, un insoddisfatto metodico. E infatti uno degli aspetti interessanti della figura di Cristo è che non è un tollerante: è un rissoso. Appena c’è qualcosa che da parte del curando, del destinatario, che lo offende, in tutti i casi risponde piuttosto male, molto decisamente.
Riguardo all’educazione, noi non abbiamo alcuna obiezione a rilevare la parola educazione, pedagogia, ma abbiamo semplicemente detto che rifiutiamo tutta la cultura moderna, che peraltro ha inventato l’educazione, per il fatto che l’educazione è nata sganciata dall’idea di correzione di un errore, ossia di soluzione di una crisi. Quindi è il concetto di correzione a costruire il concetto di educazione. È il concetto di mutazione o di mutamento o altre parole a potere costruire il concetto di educazione.