Corso 1997/1998
UNIVERSITÀ. CHE COSA POSSO SAPERE
Genga farà bene a non parlarne ora, perché farà bene a parlare più estesamente in un’altra occasione di questa coppia di farabutti.
Invece con il Simplicissimus di Grimmelshausen è tutto diverso il modo di intendere il bambino, il giovanetto, perché lì si tratta pur sempre di istruzione, ma viene trattata con un rispetto per il sapere iniziale del soggetto, pur nella sua ignoranza e nella sua ingenuità, che certamente non c’è né in Rousseau né nella pedagogia moderna.
Mi ero annotato solo una cosa, che mi aveva colpito in questi giorni, quando mi interrogavo sulla parola educazione se sia da abbandonare, rigettare o conservare e in quale senso.
Mi sembra che se non si parla di educazione come di presentazione di un soggetto alla realtà o della realtà al Soggetto, o di introduzione come si dice in inglese «I introduce you to…» per presentare qualcuno. Allora in questo senso educazione tiene, anzi praticamente non c’è nulla che nel rapporto sfugga a questa accezione di educazione: si tratta sempre di presentazione. Se non si tratta di questo, la parola stessa educazione è debole, presta il fianco alla sua perversione.
Negli ultimi anni in giornali come Seconda Mano e tutti gli altri si sono riempiti di quelle rubriche per i porno-annunci, annunci sado-maso, dove si parla di “trattamenti rieducativi”, che significa poi le fruste e tante altre porcherie. Ma c’è un punto in cui bisogna cogliere come sragiona la perversione a questo riguardo. Mi pare che a questo punto si adegua anche il diritto dello stato: nella Costituzione italiana, l’art. 27, a proposito delle pene detentive dice che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato, secondo la concezione di Beccaria. La pena ha come fine rieducare il cittadino per reinserirlo nella società. Non è esattamente questo il punto che tocco, ossia se la pena detentiva debba avere come finalità la rieducazione del condannato. Qui la pena avrebbe questa finalità correttiva.
Quello che voglio colpire, individuare, è pensare che valga la reciproca, vale a dire che la correzione porti con sé la sua pena. …
Pronunciato il 21 febbraio 1998
Trascrizione a cura di Gilda Di Mitri
Testo non rivisto dall’Autore