Seminario 1995/1996
“VITA PSICHICA COME VITA GIURIDICA 2”
Commento al primo intervento
Con una articolazione che non ha perso un colpo clinico, osservativo e descrittivo, la distinzione delle due Città è qui risultata un test, criterio diagnostico differenziale fra forme patologiche distinte. È notevole che per differenziare nevrosi da querulomania, piuttosto che perversione, noi usiamo le due Città. E inversamente le due Città ci vengono chiarite dalla conoscenza delle forme cliniche stesse.
Commento al secondo intervento
Un’impertinenza pertinente, che vale per tutto il discorso esistenzialista sulla disperazione: «Cos’è una pianta di pere senza le pere?», risposta: «È dis-perata». Suggerisco di non giocare più a riconoscere un qualsiasi valore alla parola «disperazione» allorché usata in questi contesti. L’efficacia che ho notato nel lavoro di questa persona mi sembra risiedere nel suo abbandono di questa robaccia. Questo equivale a non cedere più al volgare ricatto che «…siccome è malato, allora è giustificato nel dire ciò che dice»: siccome è malato, è stupido come tanti altri. La parola «stupido» è motivata: discorsi come questi sono stupidi, inconsistenti. La parola «demenza», usata nel secolo scorso nel contesto psichiatrico, era adeguata.
La medesima succede quando un premio Nobel – che avrà fatto anche il suo eccellente lavoro in biologia o in chimica – viene invitato a fare discorsi sulla società o sulla morale. Che pertinenza ha l’avere meritato il premio Nobel con il parlare di bioetica? Discorsi insensati, o insulsi, vengono motivati dal mettere oggetti diversi in un posto improprio: la malattia o il premio Nobel funzionano allora in maniera identica. Due condizioni del tutto difformi fra loro possono ambedue funzionare in quel medesimo posto inappropriato per giustificare i discorsi che si faranno dopo. Il concetto di «posto» è pertanto un concetto importante.
Anche se avessi contratto l’AIDS in seguito all’ideologia suddetta e non solo per imprudenza, una volta ammalato, dovrei riconoscere che la malattia non introduce a nulla: è finita lì. Anche il nostro patrono Giobbe aveva a che fare con amici che gli dicevano: «C’è una logica nella tua malattia: è la punizione di Dio». E proprio Giobbe – il malato di AIDS, come potremmo riscriverlo oggi – è uno che dice: «Va bene: se anche avessi l’AIDS o la lebbra, finita lì. …
Pronunciato il 16 febbraio 1996
Trascrizione a cura di Gilda Di Mitri
Testo non rivisto dall’Autore