Un articolo del Sole-24 Ore ha appena reintrodotto la parola “fato” cioè destino [1].
É per me un’eccellente occasione per osservare che i secoli servono poco:
infatti se la Controriforma condannava l’idea di destino fino a condannare l’uso di questa parola, da anni ho invece visto tornare il fato cioè il destino sotto una luce teologica favorevole (bizzarra la storia religiosa, tutto e il contrario di tutto).
Questi due casi opposti hanno in comune ciò che in comune rimuovono:
ossia il fatto che il “fato” non è solo coazione cioè costrizione, propria della vecchia predestinazione, ma patologia, e ciò cambia completamente le carte in tavola.
La tendenza filosofica e teologica a cancellare la patologia, si è fatta psicologia (e la psicologia si rivela come secolarizzazione di filosofia e teologia):
infatti la psichiatria oggi dominante (DSM) fa scomparire, insieme a isteria e in generale nevrosi, la patologia, per configurare i “disturbi” non più come patologie ma come varianti di fenomeni naturali, indifferenti tra loro spiacevolezza a parte.
Il seicentesco “deus sive natura” ha progredito in “homo sive natura”, che però preesisteva nella Teoria dell’homo come animal:
homo e deus si annullano insieme come natura, deus vilis come corpus vile.
La patologia è come un istinto acquisito, come se fosse eterno una volta acquisito (vedi ieri “per sempre”).
PS
Rammento che la parola “fato” piaceva molto a fascismo e nazismo, ossia alla psicologia delle masse (molto peggio del “populismo”).
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[1] Massimo Firpo, E la Chiesa censurò il “Fato”, domenica 15 aprile, dedicato al saggio di Gigliola Fragnito, Cinquecento italiano, Religione, cultura e potere dal Rinascimento alla Controriforma, il Mulino 2012.
martedì 17 aprile 2012
Pubblicato su www.giacomocontri.it