La futilità è un’aggravante.
Conosco la fattispecie descritta ieri da quando, in epoca universitaria, ho visto un film che poteva intitolarsi “Zingari”, in cui l’aitante zingaro si innamora della bella zingara:
per un po’ funziona, ma il giorno in cui lei vuole ritirarsi come Carmen, lui la minaccia di sfregiarla, come in effetti farà:
lui ne dà anche la ragione, ossia crede che la perdita della bellezza di lei avrà l’effetto di svincolare il proprio cuore da lei come oggetto futilmente vincolatosi all’Oggetto o Ideale del cuore:
futilità verificabile ogni volta che, caduto questo legame, a lui della “bella” non importerà più nulla (come nella battuta finale di Via col vento: “Francamente, cara, me ne infischio!”).
Ciò che lui vorrebbe è un’operazione che non gli riesce, cioè usare il coltellaccio come un sottile bisturi chirurgico, per separare l’oggetto sensibile dall’Oggetto o Ideale, ma gli riesce soltanto di massacrare il primo lasciando intatto il secondo, seguirà il suicidio o la melanconia.
In fondo le sarebbe grato se fosse lei, nel lasciarlo, a compiere il taglio chirurgico (come la richiesta alla strega di ritirare il malocchio):
ma non avviene così l’(as)soluzione dall’angoscia:
il malocchio amoroso ne uccide più della spada.
martedì 14 giugno 2016
Pubblicato su www.giacomocontri.it