«Child», n. 0
maggio 1997
Pensante, agente, giudicante, sanzionante. Non cattivo, ma neppure «buono» come quel «Gesù Bambino» che è una bestemmia culturale della stessa famiglia di «Babbo Natale».
Non è infantile: l’infantilismo è una patologia adulta (solo un adulto può essere infantile: ma perché è adolescenziale, adolessenziale, metafisico nichilista), mai un tratto della psicologia «infantile».
Non è adolescenziale. La distinzione tra infanzia e adolescenza ha conseguenze di civiltà incalcolabili, e è mancata per millenni: l’antichità la ignorava.
Il Gargantua di Doré non fa concessioni alla «psicologia mamma-bambino», alla «simbiosi», alla «fusione». Né ai «rapporti oggettuali». Né al pregiudizio che vi siano precondizioni patologiche della nascita: il «simbolico» o «simbolismo», o quelle posizioni» aprioristiche che vengono date per innate e che sono dette schizoparanoide e depressiva. Né al bla bla della «sintonizzazione», dell’«autoregolazione», dell’«attaccamento», della «coerenza del sé», e men che meno dell’«interazione».
Si difende bene – la difesa è sempre normale, non patologica se non quando è disconosciuto il giudizio che l’ha mossa -, cioè sa distinguere realmente amico e nemico (non è paranoico). La difesa è esercizio di un pensiero valido e efficace.
«Tornare come bambini» pensiero atto giudizio sanzione nel principio di piacere – è il nostro motto.
Ma il tragico – il «tragico» riguarda il bambino non l’adolescente: la Tragedia greca non riusciva neppure a concepire il bambino – sta nel fatto e solo nel fatto che tanto valore del bambino può essere precocemente sconfitto (ecco il nemico), può cedere e aprirsi alla, anzi chiudersi nella, patologia. Fino alla perversione, o all’inferno, o alla mancanza non di oggetto, bensì di desiderio cioè di partner, che significa rapporto. Il bambino è il valoroso insufficiente difensore del desiderio, che è pensiero. Come sa chi per lui vita rifiuta.
Non tanto «psicoterapia dei bambini» quanto, di fronte alla psicopatologia infantile: «Adulto, cura te ipsum».
Alla Cultura banalizzante e militare dei test va contrapposto: il bambino è il test dell’adulto. Così come l’amore è l’unico test dell’intelligenza (sappiamo che non ne usciamo promossi).
Successivamente Rabelais – peccato! – ne fa un umanista, lo «educa» come poi Rousseau, lo tratta come un selvaggio o un… bambino, cioè lo sfigura. …