3° SIMPOSIO
IL DISARCIONAMENTO DELL’INTELLETTO.
UN DANNO O UN IDEALE?
Faccio solo due mie piccole note o tessere del suddetto gioco, che collego alle due grosse tessere presentateci da Mariella Contri e da Gabriella Pediconi.
Un inciso iniziale prima delle due tessere.
Nelle sue due, tre pagine2 Cancelli in una riga nel testo e una in nota fa riferimento a Andrè Breton, il capo del movimento surrealista francese, ma non c’è bisogno di saperne tanto. Io ricordo che non so in quale degli anni trenta Breton scrive una lettera a Freud in cui, dopo aver magnificato Freud per l’immensità della sua opera, proclama sé e gli altri surrealisti suoi umili seguaci e aggiunge che anche loro seguono l’idea di inconscio, quindi concludeva con “possiamo anche lavorare insieme”, o qualcosa del genere. Ricordo, nella gentilezza tipica di Freud, come fosse giustamente e meritatamente agghiacciante la sua risposta. Freud gli risponde: “Tanti auguri per la vostra impresa però, per favore, voi andate per la vostra strada ed io vado per la mia, perché l’uso che voi fate della parola inconscio non ha niente a che fare con l’uso che io faccio della parola inconscio. Voi andate a ovest, io vado ad est”. Si potrebbe anche dire: andate all’inferno! Senza condanna, semplicemente con voi non ho niente a che vedere.
Ecco, questo gesto di Freud più e più volte dovremmo saperlo fare perché in nome dell’uso fonetico delle medesime parole, ancora troppo spesso accade che proprio nel significato, nel concetto, nel discorso, nel dove si va (discorso poi vuol dire andare di qua, andare di là, costruire così o costruire in un altro modo) non ci si intenda e fin troppo spesso la risposta di Freud dovrebbe essere: “Hai usato la mia stessa parola ma fra me e te non c’è proprio niente a che vedere, nessuna amicizia del pensiero da parte tua e non perché hai un’idea diversa ma perché pretendi che la tua idea del tutto diversa sia la mia”. Ciò che non concedo è questo equivoco.
Le due brevissime osservazioni, la prima che prendo dal lavoro di Mariella Contri, è un’osservazione veramente breve perché in fondo si riduce ad una informazione. Nel lessico famigliare della mia famiglia fin da piccoli ricorreva un detto veneto, veronese, di mio padre, detto con un senso comico. Si tratta di un contadino che ritorna in paese a piedi verso sera e gli altri contadini già tornati dai campi che lo vedono ritornare gli chiedono come mai torna a piedi mentre era uscito a cavallo. Lui racconta che gli si è avvicinato un malintenzionato, e dice: “Lu butame zo, e mi… desmonta”, cioè “Lui mi ha buttato giù e io son sceso e son rimasto senza cavallo”.
Pronunciato il 23 febbraio 2013
Trascrizione a cura di Sara Giammattei
Revisione di Glauco Maria Genga
Testo non rivisto dall’Autore