Una persona che frequenta il mio divano da non breve tempo, mi ha posto la legittima questione della conclusione della sua analisi (o meglio credeva di pormela):
lo ha fatto dicendomi che gli pareva proprio di avere “vuotato il sacco” (una metafora già criticata da J. Lacan).
Gli ho risposto che ancora non c’eravamo, e proprio per il fatto di avere in mente una tale metafora finitista, o ragionierista.
Mi ha dato retta, pur sembrandogli oscura la mia risposta, e non mancando di obiettare che se l’analisi non può essere finita, allora è infinita (questione già freudiana).
Tempo dopo ci è tornato sopra, col dirmi che ormai era al “capolinea”.
Gli ho fatto osservare che le due metafore, sacco e capolinea, si equivalgono.
E che ambedue equivalgono al suo permanente dichiararsi uno che lavora per “obiettivi”, i quali appunto hanno un “capolinea” (rammento che di questi tempi sto insistendo sul tema dell’Oggetto-oggettivo-obiettivo-oggettualità).
Ho poi domandato, già certo della sua risposta al ribasso, se guardasse dei film e soprattutto se leggesse dei libri (non solo romanzi ma in generale tutte quelle letture che non si fanno per obiettivi o utilità).
E ho aggiunto che l’esempio della lettura è la soluzione alle sue irrisolte metafore da me giudicate patologiche, e per l’appunto da risolvere per considerare conclusa l’analisi.
E infine, che la sua analisi sarebbe stata conclusa quando egli fosse diventato un lettore, ossia qualcuno che non ha più l’alternativa tra serie finita e serie infinita, tra finito e infinito.
É l’amore:
non c’è amore finito e amore infinito (“umano” e “divino”).
Milano, 18 settembre 2007
Pubblicato su www.giacomocontri.it