Rinvio al precedente articolo “Tolkien e Cristo”, giovedì 29 marzo, che proseguo.
Nessuno ha mai capito niente dell’“oggetto a” (objet petit a) di J. Lacan, e del resto lui ha fatto apposta perché così fosse, e lo ha anche dichiarato deridendo i seguaci (“ce n’est que moi qui en ai le maniement”).
Tolkien è di aiuto al riguardo: infatti lui e poi J. Lacan trovano soluzione nella caduta dell’oggetto come sua dissoluzione:
ma non si tratta dei più diversi e onesti oggetti che troviamo o produciamo, bensì dell’oggetto trans-formato in causa (cause du désir):
la caduta in Tolkien avverrebbe grazie a una banale forza fisica non importa quanto “grande”, un grande risibile vulcanone da Luna Park con grandi temperature come ogni onesto vulcano (i bambini sono divertiti, non stupiti);
la caduta in J. Lacan avverrebbe non si sa grazie a che, ma certo – almeno questo! – non grazie a una forza fisica (ma ciò che J. Lacan dice mantiene valore, secondo me).
In ambedue i casi si esige che ci sia caduta della Caduta:
quella nel “Bene” astratto, Ideale, astratto dal giudizio buono/cattivo per esempio sulla fatidica mela, che diventa fati-dica cioè causa solo nella Caduta.
Astratto cioè dal Principio di piacere, individuale come ognun sa, universale nel suo ambito di validità.
Fino a tale caduta della Caduta siamo tutti dei Gollum – “Tessorro mmio…!” – cioè dei nevrotici, complici riottosi del Nemico, che è una Teoria come forza di occupazione più potente di un esercito:
Tolkien e J. Lacan hanno capito, in modi diversi, che non basta lo sbarco in Normandia né la Resistenza.
Milano, 14 aprile 2007
Pubblicato su www.giacomocontri.it