É quello dell’Eden, dell’albero della conoscenza del bene e del male:
ma attenzione!, in quanto quello dal quale guardarsi dal derivare i propri atti (mangiare è un atto, l’accento non è sull’oggetto-mela).
Per molti anni questo mito biblico dell’albero mi è apparso privo di senso logico e grammaticale:
ce n’è voluta prima di cogliere che l’Autore “ispirato” del Genesi (VI-V secolo a. C.) ha anticipato Aristotele (IV secolo) perfino superandolo.
In “bene e male” la particella “e” è una congiunzione, e questo va bene finché si tratta di un’elencazione, ma ciò non significa indifferenza, equivalenza o sostituibilità, cioè siamo nel principio di non contraddizione in cui A (bene) non è non-A (male), che proibisce di congiungere A (bene) e non-A (male).
Secondo l’Autore “ispirato”, “Dio” obbedisce al principio di non contraddizione e invita i suoi generati a fare come lui (“a immagine e somiglianza”).
Il suddetto Autore ha superato Aristotele perché per questi, come per tutto il pensiero greco, la perversione è rimasta impensabile.
La perversione rinnega (Freud: Verleugnung) il principio di non contraddizione, e lo fa non con l’argomentazione ma con la banalizzazione:
questa è un’occasione per tornare sulla Banalità del male di Hannah Arendt, dalla quale non siamo usciti.
giovedì 10 aprile 2014
Pubblicato su www.giacomocontri.it