Intervista a Giacomo B. Contri di Stefania Falasca
«Banali, raccogliticci, assurdi»; ma anche un segno del tentativo di svalutare il legame che c’è tra le parole cristiane e la realtà stessa del cristianesimo. Giacomo Contri non risparmia proprio nulla agli immancabili foglietti che si trovano in chiesa la domenica, per seguire la liturgia e per fare catechesi. Ma per lui questo è solo un capitolo di ben altro problema. Contri non è un teologo: è uno psichiatra, della scuola di Jacques Lacan, delle cui opere ha curato l’edizione italiana per l’Einaudi. Si definisce ironicamente “libero pensatore”. «Non mi interesso di teologia – dice – ma del legame fra logica e linguaggio».
E senza spogliarsi del rigore di un analista, da semplice fedele che va a messa la domenica, apre il caso dei commenti alla liturgia…
Professore, le è capitato spesso di leggere questi foglietti?
GIACOMO CONTRI: Sì. Ma da molto tempo ormai evito di prenderli. Come dire… per non rovinarmi il palato.
Eppure è ritenuto uno strumento di massa più che valido per seguire la liturgia…
CONTRI: Non diciamo sciocchezze. Tutte queste frasette intercalate ai Vangeli e alle letture, densi di significato e spesso anche molto belli, sono una discrepanza stridente. Parole raccogliticce dalla tradizione cristiana e ripetute senza pensare e far pensare a nessun loro senso. Una fiera delle banalità, direi… un catalogo di assurdità. Un’insalata di insensataggini.
Allora a che servono se, come lei dice, non hanno alcuna consistenza e quindi non aiutano a capire?
CONTRI: Ad un’azione instupidente. Da un lato infatti sono non chiare, banali; ma dall’altro, questa fraseria sentimentale buttata lì, glissata a sandwich, masi di soppiatto, in mezzo ai testi, risponde ad un’operazione astuta sotto ‘apparente stupidità: la derealizzazione di tutto. Ossia lo svuotamento della realtà delle cose di cui si parla nel cristianesimo. Sono perciò funzionali ad ma idea molto precisa: l’idea di cristianesimo senza Cristo e di cristianesimo senza cristiani.
E come si esprime questa che lei chiama “opera di derealizzazione”?
CONTRI: Con un divorzio tra le parole e le cose. Un divorzio tra lingua e res. Se c’è un carattere denotativo del cristianesimo è proprio il rapporto tra parole e realtà. Nel cristianesimo le parole nominano delle cose reali o delle persone reali. …
30GIORNI
N.1 – 1992
gennaio 1992