Pochi giorni fa [1] Raffaella Colombo ha proposto all’attenzione del nostro pensiero un passo di G. W.F. Hegel dalla Fenomenologia dello spirito, in cui molti possono riconoscersi pur non avendone mai letto una riga:
“La coscienza vive nell’ansia di macchiare con l’azione e con l’esserci la gloria del suo interno.
E, per conservare la purezza del suo cuore, fugge il contatto dell’effettualità e s’impunta nella pervicace impotenza di rinunziare al proprio Sé affinato fino all’ultima astrazione e di darsi sostanzialità, ovvero di mutare il suo pensiero in essere e di affidarsi alla differenza assoluta.
Quel vuoto oggetto ch’essa si produce la riempie ora dunque della consapevolezza della vuotaggine:
il suo operare è l’anelare che non fa se non perdersi nel suo farsi oggetto privo di essenza, e che ricadendo, oltre questa perdita, in se stesso, si trova soltanto come perduto.
In questa lucida purezza dei suoi momenti, una infelice anima bella, come la si suol chiamare, arde consumandosi in se stessa e dilegua qual vana caligine che si dissolve sull’aria.”
(qui e là avrei tradotto più efficacemente).
Freud avrebbe detto “psicopatologia”, dando così senso a Hegel.
Cento persone che conosco direbbero “Ma come faceva quel tal Hegel a conoscermi così bene?”
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[1] Sabato 24 novembre, 1° Simposio annuale della “Società Amici del Pensiero”.
martedì 27 novembre 2012
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