Buongiorno; vedo che in sala ci sono anche compagni della prima ora.
È uno di quei casi in cui non sarebbe obbligatorio che io prendessi la parola. Non dico che sia del tutto inutile, se no non mi sarei seduto qui, ma potrebbe anche essere omesso che io prenda la parola per iniziare, perché è già tutto, e dico tutto, disposto: il tema, l’introduzione, gli articoli della Costituzione, molte pagine, una trentina, già scritte.
Dunque, ammettiamo pure che fra poco io dica qualcosa di non già detto (e magari anche non già pensato), però anche ciò che io stesso non ho già pensato potrebbe pensarlo qualcun altro: perché devo pensare tutto io? Ho dovuto fare un po’ di strada nella mia vita, ma in fondo una delle frasi che apprezzo di più è: “Pensaci tu” – si dice, no? –: c’è un’occorrenza, occorre qualche cosa e uno dice ad un altro: “Pensaci tu”.
Ricordo ancora quella mia paziente che viveva con un compagno con cui aveva una figlia; conviveva con quest’uomo senza che la loro convivenza fosse un appuntamento. Quando le chiesi: “Ma a lei, con il suo compagno – riguardo al ‘cosa faremo stasera? andremo al cinema, al ristorante, guardiamo la televisione o altro?’ – non capita mai di dire: ‘Pensaci tu’?”.
È seguito un urlo per dirmi di no, che si sarebbe fatta pelare viva piuttosto che dire al suo compagno: “Pensaci tu”, “Fa’ tu”. Ecco, questo è il rifiuto della sovranità, perché se dico a qualcuno, alla mia compagna o viceversa, “Pensaci tu”, la mia lingua in quel momento è sovrana.
È un sovrano colui che può dire a qualcuno “Pensaci tu”; non è servile. Quindi io vorrei che anche a tutti i miei pensieri ci pensasse qualcun altro, ed ecco perché tutto il nostro lavoro è consistito solo nel dare rilievo alla parola pensiero, un rilievo non dato e, anzi, avvilito nel corso dei millenni: già dagli antichi Greci questo rilievo al pensiero non è stato dato.
Allora, di che cosa parlo oggi?
Il tema l’avete sentito, ma c’è un’altra parola che sta al posto del titolo di questo Simposio, ed è la parola fonte, proprio come si dice la fonte dell’acqua, la fonte del petrolio, la fonte della luce elettrica ecc.
Parliamo di ciò che è la fonte, parola alla quale rimanete freddini. C’è una sola fonte di legge, osservate su voi stessi la vostra “freddinità” rispetto a questa parola.
La realtà è leggi e non è altro che queste, perché non ci sono altre leggi che quelle con cui ci muoviamo, comprese le mie mani con cui ho fatto questo gesto piuttosto che un altro.
Prevalgono in me in questo momento le leggi del moto della mia lingua, guance comprese ecc. In voi prevalgono le leggi del moto della vostra postura, perché quando si ascolta si tiene anche una certa postura: siete seduti, non sdraiati, orientate la testa sul collo in un certo modo, affinché le orecchie possano sentire meglio e anche la vostra mimica fa parte di questo. La mimica che accidente di movimento è? Lo è, e tanto. [segue]
Pronunciato il 7 Ottobre 2017 con Altri
Trascrizione a cura di Sara Giammattei
Revisione di Glauco Maria Genga
Testo non rivisto dall’Autore