Da quanti decenni ci siamo sottomessi all’idea e metafora, peraltro vaga, di “radici”?, sempre tanto “concrete”, “storiche”, “comunitarie” secondo i casi, nonchè fonti di emozioni:
anche Obama sta cercando di difendersi.
Quanto ai fondamenti, li abbiamo lasciati alle disputazioni dei filosofi, con abdicazione ad essi ma senza atto di abdicazione:
questo “senza” merita la massima attenzione per le massime ragioni pratiche, ne va della vita:
è come per l’amore, cui abbiamo abdicato anche quando predichiamo l’amor-di-dio (preti) o il valore-dell’-amore (laici):
comunione non di beni ma di abdicazioni, “dialogo”.
Della stessa famiglia linguistica della parola “radici” è l’espressione “carne e sangue”:
ma quest’altra metafora (oggi si chiama anche DNA, e non so quanti scienziati ci cascano), ha già fatto versare molto sangue e lasciato sul terreno molta carne.
Nessuno ha mai saputo dire gran che di “radici” e di “carne e sangue”, né se esistano né se abbiano un significato:
ma queste parole sono almeno sospettabili di significare patologia, memoria di cui si è perso il ricordo, cioè esente da imputabilità.
Però in caso di ricordo non escluso, si potrebbe anche trovarci del buono:
a questo proposito si può uscire dall’incertezza non facendo i soliti test ma l’unico test, guardando al loro frutto.
Assolutamente degno di nota è che il frutto, cioè il futuro anteriore sarà-stato, diventa il fondamento cui si è abdicato:
perfino il filosofo d’antan potrebbe restare soddisfatto di trovare il suo perduto “essere” nel futuro anteriore.
Mai come oggi si spera nel capitalismo, che pur sempre frutta anche se s-sfrutta:
ma si comincia a sentire qualche segnale d’angoscia che forse nemmeno “lui” sia certo.
Milano, 22 settembre 2009
Pubblicato su www.giacomocontri.it