SEMINARIO DI STUDIUM IL LAVORO PSICOANALITICO 2003-2004
IDEA DI UNA UNIVERSITÀ
IL MIO RAPPORTO CON LA SALUTE O PATOLOGIA DI UN ALTRO.
LA PSICOPATOLOGIA COME FELIX CULPA
3° SEDUTA
Noi parliamo sempre come se i nostri stessi clienti fossero qui ad ascoltare quello che diciamo. Ritengo però che una distinzione vada mantenuta tra coloro che sono qui, che fanno parte di questa comunità di lavoro, e tutti gli altri che ne possono fruire.
Io che sono l’ultimo dei convertiti al sito, potrei essere un buon esempio. Secondo me, la partecipazione a Lavoro Psicoanalitico è riservata a persone che hanno pratica del divano, magari iniziale. Il che significa che quanto al risultato di un testo scritto, vale la distinzione fra chi, per il solo fatto di potere essere qui, può aprire la bocca per parlare, e altri che no: altro è poter leggere quel che è stato detto. Anche la CIA… noi siamo gentili con la CIA, le risparmiamo i costi del venire a indagarci, forniamo noi i materiali: lo dico come illustrazione dell’universalità di quel che si va dicendo. Mentre il titolo per parlare è di chi ha titolo di partecipazione a questo consesso. Ne risulta una limitazione in ingresso, e in uscita un’estensione. Ho solo portato un argomento: quel che dice un analista dovrebbe essere o è sempre stato, almeno in linea di principio, aperto a chicchessia. Anche quando si parla in quattro o quaranta, ognuno badi che se sta parlando di qualcuno che potrebbe essere riconosciuto, è bene che ne parli come se parlasse davanti a quarantamila. Ivi compresa la persona direttamente interessata. Questo lo faceva già Freud nei suoi primi articoli. E del resto è un buon criterio per ciascuno saper parlare della persona interessata davanti a quarantamila senza che i trentanovemila-novecentonovantanove si voltino verso quell’una dicendo «sei tu!», che sia la mamma del piccolo Hans o Anna O. Chi ha altre opinioni, le dirà. …
Testo non rivisto dall’Autore