Voglio aggiungere un nesso tra i due capitoli del mio intervento del 16 dicembre scorso, concezione giuridica dell’amore e scienza del pensiero, e la fede.
Abbiamo sempre sbagliato a fare il nesso fede-Dio, io non credo in Dio. Nessuno ha fede in Dio.
Dio non ci ha mai dato un motivo né per credergli, cioè considerarlo affidabile, né per amarlo.
Non che tutto resti da fare, ma appunto tutto resta da fare, ciò che chiamo il pensiero giuridico dell’amore, o del suo profitto.
Per amare Dio bisognerebbe che egli avesse un mulino cui portare acqua.
È ciò che ha capito Maometto, che non ha alcun Allah-Dio, che ha dato il nome “Allah” a Akbar, cioè al puro fatto che è supposto esistere il più grande, meglio ancora la pura supposizione che esista il più grande.
In altri termini, do nome “Allah” al più grande come do nome a una cosa. Niente di personale. Restava da costruire quella affidabilità (giuridicità, partner) che i cristiani avevano mancato. È da questa giuridicità che discende l’affidabilità che è un giudizio, cioè la fede come giudizio di affidabilità (profitto).
Non c’è fede, affidabilità, se non c’è profitto dell’altro.
E non esiste amore di Dio senza la mia acqua al suo mulino.
Da Dio voglio che lui guadagni da me e che io guadagni da lui.
Sono dunque tre i miei capitoli conclusivi: Diritto, Scienza, Fede.
Trasmesso il 7 Gennaio 2022
Testo redatto dall’Autore.