Questa espressione è appena ritornata in una seduta:
ecco un esempio di catena linguistica, intendo la catena dello schiavo.
Ricordo ancora con affetto una mia seduta con J. Lacan nei primi ’70 in cui dissi:
“C’est pas la peine de peiner” cioè “non vale la pena di penare”
con apprezzamento da parte del mio analista.
La catena è l’espressione “Vale le pena”, perché la pena non vale:
non scarico qui l’immensa bibliografia sulla pena in Diritto penale, cioè sul dis-valore della sanzione quando è penosa (con le solite chiacchiere penose sul valore educativo della pena).
Tutta la storia della civiltà ha trattato la sanzione penale come pena, in particolare il Medioevo nella concezione del Purgatorio [1] – il “buon dolor ch’a Dio ne rimarita” Purg. XXIII, 81) –, a parte che non vedo perché dovrei essere maritato a “Dio” (tutti gay in Paradiso?)
Il dolore fa schifo, non vale niente, non salva:
salva solo la reintegrazione a titolare del possesso, il comunismo nella sovranità individuale, il regime dell’appuntamento.
Il problema del Giudizio giudiziario e legittimo è che non c’è abbastanza … giudizio:
se ci fosse, e dunque universale, la sanzione si esaurirebbe in esso.
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[1] Sulla pena infernale mi sono pronunciato in precedenza.
martedì 5 novembre 2013
Pubblicato su www.giacomocontri.it