Seminario 1994/1995
“VITA PSICHICA COME VITA GIURIDICA”
1. La comunione dei beni
La formula della clessidra è il disegno di un regime di comunione di beni, ma questa è una frase parzialmente pleonastica, in quanto la parola “comunione” non ha altro significato che quella di “comunione di beni”, per esempio nel diritto coniugale.
2. Sul trattamento dell’handicappato
Un handicappato è uno scomunicato. Da questo risulterebbe che non si tratta con gli scomunicati. Deducendo la natura dello scomunicato quanto all’handicappato potrei aver detto un errore, ma, se invece così fosse, ne risultano delle conseguenze quanto al trattamento degli handicappati: frasi, tecniche, iniziative. Diventa allora una questione di via: «Come si può trattare ciò che non si deve né si può trattare?».
La domanda non è tanto assurda, perché abbiamo al nostro attivo il precedente freudiano: Freud è arrivato a una cura dopo aver scoperto che non si possono curare le nevrosi, che nella psicopatologia non esiste il curare in quanto atto transitivo della medicina, quale che sia la perizia del curante o la gravità o la vastità del male. E che dunque bisognava fare un certo ribaltamento.
3. L’altro conveniente è quello che gode
Pensando all’interrogativo di Nietta Aliverti: quando un Altro è conveniente a un Soggetto? La mia risposta è senza esitare: quando è un Altro, almeno gode.
4. Gli oggetti e il talento negativo
Trovo buona la domanda di Raffaella Colombo, da lei trasformata in sistematica, quando si chiede che cosa ne sia degli oggetti nelle quattro psicopatologie.
La realtà in movimento degli oggetti (corpo, beni, pensieri, parole) è γ (la domanda): mobilitazione degli oggetti in quello che chiamiamo talento negativo, senza fare dell’oggetto come tale una fonte di pretesa giuridica.
5. Correzione dell’errore e guarigione
Il momento interessante non è quando uno “le dice giuste”, perché si tratta di quel tipo di dirle giuste che può arrivare all’infamia, specialmente se si hanno responsabilità religiose o politiche. L’interessante è quando uno passa alla correzione dell’errore. Il momento in cui sono degno di essere ascoltato è il momento successivo a una correzione che sia stata operata da me o da altri sul mio errore o sui miei errori, ossia è dopo la crisi (o dopo malattia, o dopo patologia) che ciò che io dico diventa degno di essere udito. Guai a chi “le dice giuste”, senza che “il dirle giuste” sia un passo nuovo successivo a una correzione. Abbiamo già detto che eguagliamo, in generale e in particolare, guarigione e correzione dell’errore. …
Pronunciato il 17 febbraio 1995
Trascrizione a cura di Gilda Di Mitri
Testo non rivisto dall’Autore