5° SEDUTA – SOCIALIZZARE, CON O SENZA GIUDIZIO. GLI AMICI

Seminario 1995/96
“Aldilà. Il corpo”, 2

 

 

Amici non è una classe. Come si fa a dire che amici non è una classe? Perché non è una classe? Quando la parola amici è spesa per dire “l’altra sera ho visto gli amici”, come si dice in genere, la parola amici è semplicemente lutulentemente spesa. A mio avviso, la parola amici non designa una classe in un caso, che poi secondo i casi si può chiamare conventicola, corpuscolo, piccolo club, etc. E anche qui vediamo l’utilizzabilità della legge. Nel caso del “ti presento una persona”, l’atto del ti presento, diventato normalmente vile, è un atto serio se equivale a una raccomandazione. La persona a cui sono presentato mi è presentata affinché io possa farci degli affari sotto la garanzia del presentatore. Ti faccio un bel regalo se ti presento un amico. Ma proprio come la vicenda del Banco Ambrosiamo, che è andata maluccio, ma avete presente le lettere di raccomandazione? L’atto di raccomandazione ha questo significato: garantisco per l’uno e per l’altro. E in questo caso non è una classe, perché è sempre aperta al giro d’affari. Uno non compromette i propri amici facendo cattive rappresentazioni. Ma al tempo stesso, uno non rinchiude i propri amici nel regime del “mai presentazioni”. I nemici non fanno classe.

Mi viene spontaneo aggiungere: vuoi che usiamo la parola sano, vuoi che usiamo la parola diversamente tradizionale santo, secondo la definizione che dicevo prima, che il nostro lavoro porta all’unificazione dello stesso concetto, risulta una definizione come questa: il santo è qualcuno in cui è scomparsa la definizione di insoddisfazione. Anche solo due anni fa non sarei stato pronto a dire una cosa simile.

Del tutto d’accordo sull’universo. Un pragmatismo che fosse un pragmatismo serio sarebbe quello che risulterebbe dal rendersi conto che il più pratico dei concetti è quello di universo. Pratico agli effetti che si simbolizzano in questo gesto, quale che sia il contenuto, immediatamente pecuniario piuttosto che diverso di questo gesto. Come peraltro ancora una volta ogni affarista degno di questo nome sa. Che almeno in questo il capitalismo ci serva a qualche cosa.

Secondo me se in un centro qualsiasi un ospite arrivasse lì dicendo: «non voglio vedere nessuno, non voglio avere a che fare con tutti gli altri; vengo qui per leggere giornaletti, guardare la televisione e giocare a carte», se questo prima era un autistico e ora arriva a dire questo, sta cominciando a guarire. Non si può mica obbligarlo a socializzare. Se vado al club, proprio all’inglese, con i tavolini separati, il gentiluomo che legge il giornale e beve il the, è meglio valorizzare una simile idea. In tutte le occasioni sociali in cui ho avuto a che fare, fin da poco più che neonato fino all’altro ieri, ho sempre detestato, quale che fosse il contenuto dell’esperienza sociale in atto caso per caso, ho apprezzato tutti i casi in cui trovandomi a mio agio nelle occasioni sociali specialmente organizzate dall’occasione speciale etc., ho sempre apprezzato che a nessuno venisse in mente di censurarmi quando me ne andavo per i fatti miei. Il concetto di individuo va assolutamente difeso. L’individuo è l’unico che abbia difese. Quando l’individuo cede sull’essere individuo allora cedono le difese; allora si mette a socializzare. La socializzazione fa fuori l’universo. È l’universo che fila via. Oltretutto ci va di mezzo persino la mobilità del mercato del lavoro.

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Data di pubblicazione: 05/06/2016